Sosteniamo & Partecipiamo
19 Novembre 2014
Vicenza, 28 ottobre 2014
È in via di definizione il trattato bilaterale tra Stati Uniti ed Europa che aprirebbe la più grande zona di libero scambio al mondo, con notevoli rischi per la regolamentazione europea sui prodotti e per il principio di precauzione che ne sta alla base.
Proprio in questi giorni si stanno prendendo accordi che andranno a definire il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), ovvero Trattato Transatlantico su Commercio e Investimenti. Si tratta di un accordo definito come commerciale, di libero scambio, che vede come potenze in causa Europa e Stati Uniti.
Contemporaneamente agli incontri politici internazionali organizzati per arrivare a una sua definizione precisa e ad un accordo tra le parti, anche l’opinione pubblica, sensibilizzata soprattutto dal movimento Stop TTIP Italia, al quale aderiscono 60 realtà sociali, ambientaliste, del lavoro e politiche, tra cui Legambiente, si è mossa per far sentire la propria voce.
Ma di cosa si tratta? Il TTIP è un trattato di liberalizzazione del commercio e degli investimenti, che ha lo scopo di abbattere dazi e dogane e tutte le barriere commerciali attualmente in atto tra Europa e Stati Uniti. È uno dei tanti accordi bilaterali che da una decina d’anni l’Europa promuove con vari Paesi tra cui soprattutto quelli dell’Est Europa e del Mediterraneo. Si tratta dei cosiddetti BIT (Bilateral Investment Treaty). Un nuovo modo di decidere le linee commerciali, al quale ci si è avvicinati da quando l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) è diventata vero terreno di confronto di una pluralità di visioni dei diversi Paesi.
L’accordo è in discussione dal luglio 2013, ma tutte le trattative sono segrete. Solo pochi giorni fa finalmente il Mandato Negoziale è stato pubblicato sul sito della Commissione Europea. Ma il movimento Stop TTIP Italia precisa in primo luogo che lo stesso documento era stato pubblicato più di un mese prima nello stesso sito della campagna e poi che, per i suoi contenuti, non è sufficiente per capire cosa l’accordo realmente comporterà per le parti in causa.
Il fatto è che questo trattato andrà a regolamentare settori che vanno dal commercio, ai servizi locali, agli investimenti, energia, occupazione, sicurezza dei prodotti, ambiente, trasporti e altro ancora. Insomma un’azione a 360 gradi, che influenzerà pesantemente l’economia dei Paesi, oltre che le abitudini di vita dei loro cittadini e che molti studi affermano porterà a noi molti meno vantaggi di quelli professati da Stati Uniti, Commissione Europea, e anche dal nostro governo.
Se i regolamenti di Stati Uniti ed Europa verranno uniformati e i controlli dei singoli Stati diminuiranno, si intuisce che i rischi potrebbero essere molto elevati. I principali settori in pericolo sarebbero proprio quello alimentare, sul quale gli standard di sicurezza e qualità tra le due potenze sono ben diversi. Citiamo in particolare gli OGM, per i quali Legambiente molto si è battuta e continua a battersi. Insieme agli ormoni e ai promotori della crescita bovina usati dagli allevatori statunitensi, potrebbero trovare libero accesso ai mercati europei. Ma anche la tutela del Made in Italy, già così difficile da portare avanti ora, potrebbe risultare impossibile.
Anche l’ambiente ne risentirebbe: l’import-export di idrocarburi estratti attraverso il fracking, ovvero attraverso la perforazione idraulica delle rocce, per arrivare ai giacimenti siti in profondità, troverebbe sempre meno ostacoli. Per capire che siamo già in questa direzione basti pensare all’articolo 38 del Decreto Sblocca Italia, che apre alla ricerca e allo sfruttamento delle esigue riserve nazionali.
Tutto ciò che costituisce ostacolo agli scambi commerciali tra Stati Uniti ed Europa dovrebbe insomma essere eliminato. Poco rassicurano le parole del Vice Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda ai giornalisti di Report: «il Mandato Negoziale, che è l’ambito entro il quale il negoziatore si può muovere e che gli americani conoscono, dice con grande chiarezza che questo non accadrà». Riferito proprio all’entrata di OGM, ormoni e antibiotici sulle nostre tavole.
Ma ciò che non si accorda con un trattato “commerciale” è che verranno istituiti un Tribunale di Protezione degli Investimenti e un Consiglio per l’armonizzazione dei regolamenti che, passando sopra alle normative nazionali, permetteranno alle multinazionali di proteggere i propri interessi, presenti, passati e futuri, qualora si sentissero minacciate da alcune di queste normative o da alcune decisioni commerciali. E potrebbero rivalersi, tramite degli arbitrati, contro i Paesi di volta in volta interessati, ottenendo dei risarcimenti che, oltre a essere pesantissimi per i governi, funzionerebbero da deterrente per eventuali rivendicazioni future.
Ora questo appare agli antipodi rispetto al principio della democrazia che dovrebbe sostenere la società attuale. Ma soprattutto ci si chiede come possono queste regole, che segnerebbero così profondamente le abitudini, le tutele e le tasche dei cittadini, e non solo come consumatori, essere decise all’interno di mura alle quali è vietato accedere persino da parte del Parlamento Europeo? Le nazioni sono chiamate infatti alla ratifica, ma non alla discussione dei vari punti.
Come rappresentante dell’Italia, Renzi ha dato piena disponibilità ai fini di una positiva conclusione dell’accordo e lo definisce addirittura «una scelta strategica e culturale». Ma il timore è che il nostro paese, privo di un vero piano industriale da quasi 20 anni, sia impreparato a cambiamenti di tale portata.
Purtroppo la trasformazione della nostra economia sarà davvero radicale, e anche le realtà locali potrebbero accorgersene in breve tempo, legate come sono alle piccole attività industriali e alle imprese artigiane. Ecco che anche per il territorio vicentino potrebbe essere un duro colpo. Vicenza è una città che vive di una fiorente economia fatta principalmente di piccole e medie realtà, per gran parte facenti capo al mondo dell’artigianato e per quanto riguarda il settore alimentare vanta tradizioni e prodotti noti e già imitati in tutto il mondo, come il formaggio Asiago. In tutto il territorio si sta sviluppando un nuovo modo di fare agricoltura, attenta agli equilibri naturali, ma anche alla dignità dell’uomo, l’agricoltura sociale. Che ne sarà di tutto questo, quando saremo invasi dai prodotti americani?
Ecco perché Legambiente sostiene le posizioni del movimento Stop TTIP Italia e partecipa alla mobilitazione nazionale, che ha lo scopo di informare e coinvolgere non solo i cittadini, ma anche le amministrazioni: dal sito della campagna (http://stop-ttip-italia.net/) è infatti possibile trovare tutta una serie di informazioni e documenti, e scaricare un modulo tipo, da proporre alle istituzioni locali per l’approvazione di una mozione di sfiducia contro il TTIP.
Il circolo di Legambiente Vicenza inoltre collabora con il Primo Lunedì del Mese, che si è già impegnato in passato organizzando una serata di informazione sul tema, condotta da Monica Di Sisto, giornalista, docente universitaria e vicepresidente di Fairwatch, associazione non governativa che si occupa di economie, imprese, finanza. L’esperienza si ripeterà durante il corso dal titolo “Clima: ultima chiamata?”, organizzato dallo stesso coordinamento, che si svolgerà da gennaio a marzo 2015.
Rossana Andreato
Legambiente Vicenza