Rifiuti
12 Maggio 2017
Leggendo la cronaca locale e regionale negli ultimi mesi si possono trovare diversi trafiletti che pur non stando sotto la luce dei riflettori della cronaca ma anzi più defilati, trattano in maniera chiara di un discreto numero di casi ai quali dovremmo dare più voce, parliamo di casi sorti in Veneto legati alle nostre discariche, all’inquinamento prodotto e ai danni arrecati alle comunità che ospitano questi indesiderati, ma quanto mai necessari, depositi.
Per fare una piccola panoramica, si potrebbe partire da Este. A febbraio è stato organizzato un comitato tra ambientalisti e Sesa, il privato che si occupa della raccolta rifiuti e della lavorazione della frazione umida da cui si ricava il compost. I cittadini denunciano da anni sversamenti di compost e digestato nei terreni dai quali si alzano miasmi irrespirabili che provocherebbero anche malori. La replica di Sesa non si è fatta attendere ed è incentrata sul concetto che, il compost ricavato, sarebbe interamente naturale dal momento che non viene utilizzato alcun componente chimico nella lavorazione – e dunque il sito può emanare odori ma assolutamente mai nocivi: non resta che attendere il verdetto delle analisi chimiche.
Situazione diversa invece per Venezia e per il Vallone Moranzani. A nove anni dalla firma per l’accordo di messa in sicurezza dell’area, sottoposta all’inquinamento pesantissimo del petrolchimico di Marghera nel quale sono stati registrati nel terreno piombo, arsenico e cromo esovalente, la politica ha dimostrato ancora una volta di firmare accordi ai quali poi tuttavia non si aggiunge davvero la volontà politica di procedere. Gli interventi di risanamento sono stati condotti “a macchia di leopardo” e questo crea ulteriore danno ambientale, sociale ed economico al territorio. In questo modo non si mettono in sicurezza tutte le discariche che circondano Malcontenta e rimangono sui fondali del canale Sud pericolosi inquinanti per la laguna e la sua popolazione.
Occhi puntati anche sulla discarica “Esse-0” di Masarole, nella frazione di Falzi di Piave. A questo sito si è interessato appena un paio di anni fa direttamente Bruxelles quando con un ultimatum aveva sanzionato l’Italia e il piccolo comune trevigiano, che non aveva proceduto con l’opera di bonifica del territorio. Ex cava destinata in seguito ad ospitare il sito della discarica, l’opera si rende necessaria di un lavoro di l’impermeabilizzazione con la creazione di un nuovo telo. Il terreno è stato infatti riempito da rifiuti urbani che hanno sversato sostanze chimiche e percolato, con l’allarmante pericolo di contaminazione delle vicine falde-acquifere. Anche se forse l’italico genio sta tutto nel costruire siti tanto inquinanti vicini alle risorse idriche del territorio.
Altro caso registrato più recentemente è quello di Passarella di Sotto, frazione in provincia di Jesolo che ha avviato una importante azione legale contro il comune per via di una situazione di disagio diffusa. La frazione che ospita la discarica si lamenta di pagare una tassa sui rifiuti decisamente più alta dei comuni circostanti, a danno di doverla ospitare, e lamenta inoltre i miasmi e gli odori diffusi che costringono i residenti a chiudere costantemente le finestre con enormi disagi d’estate: questo senza contare la scia di guano lasciata dai gabbiani che vengono spesso trovati morti sulle strade. Ma non è tutto, sulla discarica pende addirittura una causa aperta negli anni ‘80 con la quale si denuncia che nel sito sembra essere stato “smaltito” proprio di tutto. Ultima ma non meno importante, la forte svalutazione immobiliare che questa situazione di disagio ha creato sulla comunità che ha aperto una causa legale con il comune per ciascuno dei punti citati, ed al quale è stato inoltre richiesto di aprire un controllo puntuale sulle morti sospette e che potrebbero cioè essere causa del sito. Il condizionale è d’obbligo in questi casi, per non generare premature ed inutili psicosi.
Legnago – lo smaltimento delle nuove tipologie di rifiuti destinate alla discarica di Torretta di Legnago sono state approvate, una doccia fredda per il sindaco e il comitato ambientalista che si erano mossi per negare l’autorizzazione. La motivazione che ha indotto il Tar del Veneto a prendere questa decisione è motivata da due questioni tecniche sostanziali: da una parte il fattore che nell’impianto verranno accolti i nuovi codici “Cet” relativi agli scarti speciali non pericolosi. In seconda battuta invece, la differenziazione delle tipologie di rifiuti non vedrà variare in ogni caso il volume complessivo che è il sito è autorizzato a smaltire, l’inquinamento dunque non dovrebbe avere variazioni di sorta.
A Bassano invece sono quindi i mesi di arresto nei confronti dell’ingegnere nonché sindaco di Gallio ed un suo amico impresario che avrebbero trasformato abusivamente un sito in discarica dal 2005 al 2010. Una superficie di 2400 metri quadrati in via Rivarotta che ospitava rottami, frammenti di eternit, rifiuti di natura edilizia, amianto e batterie, l’area è stata sequestrata dal corpo forestale. In aggiunta ai quindici mesi, altri mesi di arresto sono stati in seguito aggiunti per non aver ubbidito all’ordinanza del sindaco che imponeva ai proprietari del sito di avviare al recupero la bonifica e lo smaltimento dei rifiuti presenti da anni ripristinando in salute lo stato dei luoghi.
E’ di questi giorni invece l’interrogazione aperta nei confronti della discarica di Torretta, dal monitoraggio Arpav del 2016 sono emersi almeno tre parametri indicatori della presenza di percolato che supera i limiti sanciti dalla legge, con effetti potenzialmente dannosi per Melagara, Bergantino, Castelnovo di Bariano alle quali va aggiunta la bonifica della discarica di Ca’ Filissine a Pescantina. Concentrazioni triplicate di metalli pesanti come arsenico, manganese, nichel che hanno portato alla chiusura di un pozzo d’acqua potabile per via dei suddetti valori oltre il limite a Castelnovo di Bariano.
Merita infine un appunto particolare la situazione di Pederobba, che non vede coinvolta una discarica ma piuttosto il Cementificio Rossi. La popolazione è in allarme da più di qualche mese da quando la volontà dell’azienda sarebbe quella di ricorrere alla lavorazione del cemento sfruttando come combustibile non solo plastiche da riciclo e copertoni, ma addirittura il Pet-Coke, una sostanza scarta del Petrolio che viene definita come “feccia del petrolio”. Un combustibile talmente dannoso da essere stato sostituito quasi ovunque, ma non qui, da dove viene utilizzato da oltre dieci anni e che vede la volontà nei prossimi di bruciare annualmente qualcosa come 60 mila tonnellate di pet-coke, 60 mila tonnellate di plastiche e altrettante di copertoni. Un guadagno di appena 200 mila euro a fronte di un danneggiamento per agricoltori e viticoltori, nonché della qualita della vita di molto superiore. Non a torto una delle accuse che viene mossa ai Cementifici è quella di essere sostanzialmente convertiti, per guadagno, ad una sorta di attività di co-inceneritori con materiale che potrebbe essere piuttosto riciclato come la plastica, e per risparmiare sull’acquisto di combustibili più costosi come il metano.
Una delle problematiche più forti che investe questi ultimi due decenni di Eco-reati condotti a danno del nostro ambiente infatti, è proprio la volontà economica ed industriale (se non prettamente criminale) di produrre indotto senza il benché minimo rispetto nei confronti del territorio. Preservarlo è il nostro compito, e questo richiede uno sforzo congiunto non solo nella dimensione della punizione a reato commesso, ma anche e soprattutto sulla prevenzione e la vigilanza dell’opinione pubblica alle realtà cittadine che la circondano.
Daniel Turini